Libri. Ecco il racconto della scrittrice Laura Canepuccia e di cosa a spinto la donna cuoca marinaia a scrivere il libro “Svalbard, a vela nell’arcipelago di ghiaccio” pubblicato su Solo Vela Net n.28 del 2016

Le strade di Rimini sono piene di quella salsedine che ormai fa parte di me. Passeggio in compagnia di Michele Marziani, il mio amico scrittore. Mic, ma se scrivessi un libro sulla mia avventura alle Svalbard?” Lui è stato uno dei prescelti che ha ricevuto le mie missive elettroniche da quelle terre estreme. Beh, te sei una delle poche che riesce a tenermi incollato allo schermo del computer con i tuoi racconti. Perché no?” La decisa affermazione dello scrittore riminese mi lascia a bocca aperta. La necessità di raccontare quell’avventura che mi aveva segnata per sempre, per la sua intensità, è forte ma… sarò in grado di trasmettere le tante emozioni? Avevo letto centinaia di libri degli autori più famosi, avventurieri come Slocum, Moitessier, gli avvincenti racconti di Larsson, e tantissimi altri navigatori contemporanei. Ma mai un libro di un lavoratore del mare, in particolare di una donna cuoca marinaia. La spinta a scrivere veniva da tutto questo mondo mai narrato e sempre invidiato dagli amici, nelle conversazioni. “fai la cuoca marinaia? Wow, che bello! Chissà quanti posti hai visto!” Ogni volta che avevo detto di questo mio lavoro tutti mi avevano guardato con invidia. Anche se in realtà essere parte di un equipaggio è uno dei ruoli più duri che si possa immaginare. Orari estenuanti durante i trasferimenti, 24 su 24 con turni, corpo in eterna compensazione d’equilibrio, spazi ristretti, contatto fisico e emozionale continuativo con armatori, comandanti, datori di lavoro, ospiti, equipaggio. Quante volte i luoghi che ho navigato li ho visti esclusivamente dalla coperta dell’imbarcazione, senza spesso avere la possibilità di farmi un bagno anche con 40° all’ombra? Lontana da casa e dagli amici, quelli veri. Aggiungiamo anche che come donna sei l’intrusa di un mondo fino a pochi anni fa esclusivamente maschile. E si sa, estirpare le vecchie abitudini, non è proprio facile.

Ero partita mesi prima per una delle avventure lavorative più intense della mia vita. Avevo tirato fuori di nuovo la mia Nikon FM-2. Il mio primo lavoro come fotografa professionista, svolto per 10 anni tra Inghilterra e Italia, lo avevo interrotto con l’avvento del digitale. All’improvviso quell’ardore, quel desiderio, quella necessità di raccontare con i grigi, i bianchi e i neri della pellicola era tornato forte come un fiume in piena. Per la prima volta oltre il Circolo Polare Artico. Avevo cercato qualcosa di davvero potente dopo un lungo break dal mio lavoro nautico che avevo svolto per 6 anni nel mediterraneo su barche uniche al mondo, Swan 65.1, Baltic 78 one design chiglia basculante tutta in carbonio, goletta d’epoca, Vallicelli, x-yacht. Ero stanca di lavorare per quel mondo fatto di scafi e sì meravigliosi, ma nello stesso tempo preoccupato solo dell’immagine piuttosto che sulla vita marinara. È così che decido di imbarcarmi su un acciaione di 67 piedi battente bandiera norvegese. Sono “sanamente” preoccupata. Devo informarmi. Chi è il comandante e che tipo di veliero naviga oltre i 78° nord? Quei mari a quelle latitudini sono decisamente pericolosi. Lì non si scherza con le onde e con il ghiaccio fluttuante. Scopro con entusiasmo che la barca è una di quelle che ha affrontato la grande regata della BT Challange. Una regata che parte dall’Inghilterra per fare il giro del mondo controvento. “Se ha resistito ai 40 ruggenti e ai 60 urlanti e a quella onda, continuativamente per mesi e mesi, allora questa è la barca giusta!” penso. Faccio ricerche anche sul comandante. “Sarà in grado di destreggiarsi a quelle latitudini, dove i pericoli sono tanti e diversi?” La rete mi conferma che Jan è un mito nella sua terra. Olandese con anni di esperienza di navigazione in tutto il mondo. Così la mia ansia di prestazione si fa più intensa. Sono ben 4 anni che non navigo in maniera continuativa e professionale. Sarò all’altezza di una prova cosi grande?

Mi imbarco a Tromso, nord della Norvegia. Già le prime navigazioni nei fiordi della città nordica a livello nautico sono molto interessanti. Un continuo mare-canale disseminato di boe di accesso, fari, fanali, superboe, boe luminose, mede, miragli. Rimango abbastanza spiazzata visto che nel Mediterraneo di questi segnali non ce ne sono poi così tanti. Lo shock più grande ce l’ho con la scoperta della marea all’approccio in porto. Mi ritrovo a guardare basita la banchina posizionata a un paio di metri sopra di me. Il nordico Jan è molto tranquillo e mi infonde una fiducia che pochissime volte avevo provato con altri comandati nostrani. Essere sempre sotto la lente d’ingrandimento degli skipper. È ovvio, sei donna e per ottenere riconoscimento, devi essere perfetta. Alcune, che hanno letto il racconto, hanno detto:”è un libro che da coraggio alle donne”.

Un giorno l’olandese mi fa una richiesta che mi pone davanti ad una vera sfida. “Laura questa è la lista dei charter che faremo. Visto che qui la cambusa mi costa di meno che a Longyearbyen, devi fare tutta la spesa del secco per i prossimi sei mesi”. Di cambuse ne avevo fatte ma certo calcolare cosa e quanto mangeranno 14 persone per 6 mesi non è cosa assai facile. La lista si fa lunga e esito a ogni numero più grande di 10 kg. Per fortuna l’esperto comandante aveva fatto nel passato spese di lunga durata quindi con il suo occhio supervisore lascio la lista al piccolo supermercato di Håkøya. Il responsabile del magazzino rimane pietrificato davanti a quell’interminabile richiesta. Caricata tutta la cambusa si parte per le isole tanto sognate. La traversata è emozionante: quattro giorni di vero puro mare. Durante l’ultimo turno, ormai in prossimità dell’arcipelago, gli schizzi di mare iniziano a congelarsi dal gran freddo. Eccoci nella baia di Isfjorden. La coperta ed ogni manovra, vela, scotta, draglia, sono cosparse di un merletto di ghiaccio salato. Che emozione! Da questo momento in poi ogni giorno diventa un giorno dove imparare qualcosa di nuovo della navigazione a queste latitudini. I segreti del comandante, che vive a Longyearbyen, vengono pian piano regalati a me, unico equpaggio di questo Challange ’67. Nel libro si ritrovano tutte queste scoperte fatte. Come salvare la barca con l’arrivo dei ghiacci fluttuanti che si spostano rapidamente con le maree, le carte nautiche praticamente inesistenti nella parte più a nord dell’arcipelago, le accortezze che si hanno vista la presenza di animali pericolosi e tante altre perle di saggezza “ghiacciate”.

Anche il corpo viene messo a dura prova a queste latitudini. Longyearbyen è situata a 78°N e vive una realtà estremamente diversa dalla nostra. Hanno 124 giorni di sole a mezzanotte e 114 di notte polare. Il resto dei giorni sono un alba-tramonto continui. Le temperature sono rigide e anche in pieno agosto nevica di quando in quando. Su una barca a vela le mani sono quelle che soffrono di più. Pur avendo portato con me vestiario adatto al ghiaccio dolce, vista la mia esperienza di gestione di rifugi in montagna ad oltre 2000 metri in pieno inverno, i contraccolpi si fanno sentire. Il comandante mi regala un paio di guanti, fatti arrivare via aerea in città, che vengono utilizzati dai tecnici che svolgono la loro attività in zone estreme. Lavorare a temperature sotto lo zero mette in seria difficoltà le articolazioni. Le mie di mani e la mia sinusite ne risentiranno per anni.

La scoperta, con le prime navigazioni, di questa terra mi emoziona profondamente. La natura potente, ma nello stesso tempo estremamente delicata, vive ad un ritmo velocizzato nel periodo del disgelo. La flora e la fauna svolgono le loro vite, dalla nascita alla morte, in brevissimo tempo. Gli animali, orsi bianchi, balene, trichechi, foche e tanti altri, seppur considerati estremamente pericolosi, e lo sono, stanno vivendo una lenta ed inesorabile morte. Lo scioglimento dei ghiacci che ormai è riconosciuto da tutto il mondo scientifico viene visualizzata dal nostro plotter chiaramente, mostrando il segnale dell’imbarcazione su quella che nel 1969 era ipotizzata come terra.

È stata un’esperienza piena di scoperte, emozioni e avventure. Ho cercato di fissarle nero su bianco. È stata proprio l’eccezionalità di questa esperienza a farmi venire voglia di condividerla scrivendone. Così, finita la faticosa seconda prova di quell’anno, la stesura del libro, contatto la casa editrice Nutrimenti Edizioni. È sempre stato un mio sogno nel cassetto avere un libro pubblicato dalla casa editrice romana che a mio parere ha una collezione estremamente selezionata di scrittori del mare. L’editore in persona, Andrea Palombi, mi contatta quando ormai sono imbarcata ai Caraibi su uno Swan meraviglioso. La notizia arriva inaspettata dopo brevissimo tempo. “Laura il libro mi piace, usciamo a settembre!” Esulto dalla gioia come una bambina alla sorpresa del regalo sotto l’albero di Natale. Al libro seguirà una mostra fotografica in bianco e nero. La mostra è il mio racconto fatto di sfumature di grigi. Non posso non citare la critica del fotografo Mario Guerra. “E’ un diario sotto forma di romanzo che diventa varco per l’intimità sensoriale necessaria all’essere umano. La vita presa in mano e vissuta pienamente come unica possibilità, divertendosi, proprio come nei giochi dei bambini; con la complicità di uno stupore costante e di un coraggio crescente che non deviano mai dal richiamo dell’esplorazione anche interiore”