Martedi. Finalmente è arrivato. L’ho aspettato per un lungo mese. O forse mi sembra un mese ma potrebbe essere molto meno. Ma sono così felice per questa opportunità. Sono all’aeroporto ad accogliere la mia amica L.
Durante questi “strani” mesi ho covato l’idea di un cambio. Poi quando è arrivata la prima proposta di imbarco, davanti al mare, ho preso la decisione definitiva: Quest’anno rimango a terra! L’idea di lavorare nella bolla delle ricche barche in un mondo che è imprigionato e sta crollando a pezzi è troppo forte e contrastante con i miei principi, la mia anima. Non posso!
Poi una mia cara amica mi chiama proponendomi di lavorare con lei. Sono così riconoscente di poter cucinare al suo fianco per la regata di un equipaggio di stelle della vela, che non sono nella pelle. L’ho già fatto nel passato ma farlo in compagnia di una superchef come lei sarà sicuramente molto interessante.
Per precauzione io l’aspetto fuori dall’aeroporto non ci abbracciamo e indossiamo ambedue le mascherine. La giornata è una di quelle che sembra di essere con la testa in un forno, il vento è caldissimo. Veniamo immediatamente a casa. Lei è stanca per il lungo e stressante viaggio. Ci sediamo a distanza quando non indossiamo più la mascherina una volta arrivate in casa. Ambedue siamo eccitate all’idea di tornare a trottare tra i fornelli e questa volta insieme. È mesi che non lavoriamo per colpa del LOCKDOWN imposto dai governi mondiali.
La mattina dopo l’accompagno in ospedale per fargli da traduttrice per fare in covid test.
La lascio al suo albergo dove rimarrà chiusa in stanza fino al risultato del test. Il team è molto attento e preoccupato per questo nuovo “male”.
Torno a casa mia e non esco fino al giorno dopo. Io già sono una persona tranquilla quindi non mi pesa per niente il rimanere confinata per questi giorni.
La sera L. mi chiama e il test è negativo. Evviva!
Ci diamo appuntamento alle 8 per iniziare a organizzarci per i 13 giorni successivi di ritmo serrato. La cucina è molto ben organizzata e non vedo l’ora di spadellare un po’.
Dopo poco la mia amica riceve una telefonata in cui gli viene detto che devo andare immediatamente in ospedale per fare anche io il test.
Ormai conosco questo ospedale privato quindi mi muovo veloce e arrivo davanti la porta del mio primo test. Mi infilano un cottonfiock gigante nella narice. La sensazione non è di dolore ma assolutamente di un fastidio così potente da farti uscire le lacrime. L’infermiera estrae il tampone e sospiro pensando sia finita. No, è solo l’inizio. Lo stesso tampone mi viene spinto nell’altra narice fin dentro la gola. Dopo essere stato chiuso dentro una provetta, tira fuori un altro tampone. Questa volta me lo infila in gola così a fondo da scatenare la classica reazione di conato di vomito.
Finita la prima tortura aspetto per andare a fare anche le analisi del sangue.
Una sensazione strana si insinua dentro la mia testa. Vedere tutta questa gente andare in giro con le mascherine per fare il test. C’è chi indossa quelle fatte in casa di cotone, chi quelle da medico e chi va in giro con le maschere doppio filtro che li fanno sembrare degli alieni impauriti.
Un ragazzo giovanissimo mi aspetta. Sorriso, ago, chiacchiere, provetta e ci salutiamo. Finalmente fuori!
Basta, di ospedali per un po’ non ne voglio più sapere. A quel punto vengo rispedita a casa in attesa del risultato.
Tic..tac.. le ore passano ma io sono positiva. Non averi mai dovuto scrive questa parola!
Alle 6 pm la mia amica mi chiama. Hanno spedito il risultato del test al manager, SEI POSITIVA!