Siamo arrivati alla sesta settimana di lavoro non stop. Solo a Samos abbiamo avuto una mattina libera che ho sfruttato dormendo fino a mezzogiorno. L’equipaggio è allo stremo delle energie, non solo fisiche, quelle quasi non contano, ma sono le mentali che ormai sono al rosso fisso.

Immaginate che io, in questa barca ma anche in tante altre, condivido la cabina con la hostess, dormo nella cuccetta superiore dove non è possibile stare sedute perche troppo bassa. In questo caso l’oblò è coperto di teak quindi sopra regna il buio più completo. Nella galley, cioè in cucina c’è una piccola seduta dove la hostess e il comandante la fanno da padroni. Se voglio sedermi in un luogo parzialmente illuminato che non sia la coperta, che in genere è a totale disposizione degli armatori, mi siedo indovinate dove? Tic tac tic tac…. si proprio li, sulla tazza del cesso! Luogo più tranquillo e intimo non ce n’è. Noi che siamo sottocoperta riusciamo a tener testa a 11-15 ore, con un break di un’ora quando possibile, di trotta trotta.

Quella capacità di lasciarsi scivolare le battutine, in una situazione come questa, non c’è più. Ci si appiglia ad ogni singolo spunto di bisticcio. In barca regna la necessità di evitarsi soprattutto verbalmente. Anzi che in questa barca la situazione non è così male. Da quando questo lavoro si è trasformato in INDUSTRIA, così viene definito ormai “the industry of the sea”, quel senso di avventura, condivisione è finito, terminato, kaput! Ricordo il primo imbarco con Omar che è riuscito ad instillarmi le basi della vela e la riscoperta dei sensi che in città sono completamente assopiti, il bravissimo Salvatore che con un sorriso era in grado di far volare via ogni brutta emozione. La lista purtroppo non è lunga, anzi. Il mondo del mare è cambiato velocemente. Io ho iniziato nel 2001 quando di donne in questo settore se ne contavano sulle dita di una mano.

Flying wally
Foto di Blanca

Oggi è diverso. L’industria ha trasformato questo modo di vivere, e di guadagnarsi la pagnotta, in un becero lavoro di fruttatori e fruttati. E l’equipaggio che vive a bordo? E’ sempre meno capace di capirsi e confrontarsi in maniera umana. Regna l’aggressività. Soprattutto per quanto riguarda le barche performanti, quelle dei multimilionari che si fanno costruire i bolidi “one design”, se non sei stronz@ e non ti senti “sto cazzo”, non sopravvivi. Io non mi sono mai adeguata a questo modo di relazionarsi, non posso, ma soprattutto non mi piace. Solo da un paio d’anni, dopo l’inverno a lavoro al caldo caraibico, sono tornata a bordo di velieri qui nel mediterraneo.

In baia. La barca e il dinghy

Per come stanno le cose, e la conferma è sempre più forte, questo mondo del mare è diventato un mondo di arroganti…

li vedi scendere dalla barca tutti vestiti con la divisa uguale, quella della barca dove in fondo ci si riconoscono.

Io, quasi quasi, il prossimo imbarco me lo cerco in un luogo lontano dal mare nostrum!